Bicentenario della nascita di Giacinto de' Sivo 1814 - 2014

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Giacinto de' Sivo

Giacinto de' Sivo nacque a Maddaloni il 29 novembre 1814, da Aniello,
valoroso ufficiale dell'esercito napoletano, e da Maria Rosa Di Lucia. Lo zio,
Antonio, aveva fatto parte dell'armata del Cardinale Ruffo. Là de' Sivo visse i
primi anni, nei possedimenti la Torre maggiore, il Castello e la Torre piccola,
acquistati dai Carafa, antichi signori di Maddaloni. Frequentò poi, a
Napoli, la scuola del marchese Basilio Puoti, maestro di lingua e di elocuzione
italiana. Nel 1840, a 26 anni, compose la prima delle sue otto tragedie, dedicata a
Costantino Dracosa, ultimo imperatore di Costantinopoli. Nel 1844 sposò la
contessa Costanza Gaetani dell'Aquila d'Aragona dei Duchi di Laurenzana, figlia
del conte Luigi, maresciallo di campo e aiutante generale del re, dalla quale
ebbe tre figli. Sono gli anni in cui a Napoli soggiorna Giacomo Leopardi ed in cui
fermentano atteggiamenti politici e si distinguono nettamente i napoletani
borbonici da quelli antiborbonici o, come allora si diceva, napoletani-francesi,
tali, a detta del Croce, "per avvedutezza politica o per ricerca di
appoggio". Fra questi napoletani-francesi c'era anche un parente di Benedetto Croce,
Francesco Paolo Bozzelli, poi bollato giustamente come traditore dal
napoletano-borbonico Giacinto de' Sivo. Successivamente "l'avvedutezza
politica e la ricerca di appoggio" fece diventare gli oppositori
napoletani-inglesi. A Londra, nel 1684, era stata fondata la Banca
d'Inghilterra, nel 1717 la prima Loggia massonica; a Londra avevano trovato rifugio,
successivamente, Marat, Danton, Voltaire, Mazzini, Garibaldi, Marx ed Engels. Nel
1836 scoppiò la questione degli zolfi. La Sicilia aveva quasi l'esclusiva della
produzione di questa importantissima materia prima per l'industria civile e
militare. I francesi Tayx e Ayard fecero un'offerta che avrebbe assicurato allo
Stato napoletano 400 mila ducati all'anno in più di quanto pagavano gli
inglesi. Lord Palmerston, senza tanti complimenti, mandò la flotta inglese al
largo delle nostre coste e minacciò di sganciare 100 mila bombe su Napoli. Per
quella volta le bombe ci furono risparmiate dal dietro front operato dal nostro
governo, che non era in grado di sfidare inpunemente la massima potenza
marittima del mondo. L'evento commosse profondamente il de' Sivo tanto da
indurlo, più tardi, a iniziare un capitolo del libro terzo della sua Storia
deplorando la pesante e prepotente mano inglese e a intitolarne ironicamente un
altro Amore inglese per l'Italia. Lo stesso Croce riconosce, peraltro, che se
l'Inghilterra, dopo essersi impossessata di Malta, non impose il proprio
dominio anche sulla Sicilia, lo si deve ai Borboni. E non per niente Augusto
Del Noce, nel suo Diario, ha potuto scrivere che "il cosiddetto
Risorgimento italiano è stato un capitolo della storia dell'imperialismo
inglese". Un episodio di quegli anni getta luce sul carattere di Giacinto
de' Sivo: una sera schiaffeggiò il comandante del reggimento degli svizzeri,
che erano entrati avvinazzati nel teatro di Maddaloni (oggi diventato
cine-teatro Alambra). Il duello avvenne il giorno dopo ed ebbe le consuete
condanne formali, ma tutti, compreso il re, manifestarono le loro simpatie per
il giovane e coraggioso poeta.
Nel 1845 il Congresso degli Scienziati si svolse a Napoli: quale avanzamento
avessero le scienze nessuno lo seppe. "Appena usciti da Napoli - scrive
de' Sivo - ricambiarono i balli e i festini con lo stampare vituperi di Napoli,
cominciando la guerra delle calunnie. Il nostro volgo appioppò a quegli
scienziati il nome di scoscienziati".
Nel 1847 de' Sivo pubblica il Corrado Capece, che Antonio Tari giudicò il
migliore romanzo storico di quell'epoca, eccettuati I Promessi Sposi. In quello
stesso anno Lord Mintho riceve dal Palmerston l'incarico di scorrere la
penisola e di seminarvi la rivolta. L'anno dopo  il '48. In tutt'Europa,
tranne che in Inghilterra, scoppia la rivoluzione. In Italia si comincia dalla
Sicilia, che faceva gola agli Inglesi. Coi ribelli, autori di uccisioni,
saccheggi, incendi, rapine, ci sono ufficiali, armi e munizioni inglesi. A
Messina, per colpire delle batterie che i ribelli hanno innalzato in piena
citt?, re Ferdinando II, dopo opportuno preavviso, fa scagliare qualche bomba:
nasce la leggenda di re Bomba (sol per questo il povero re Francesco,
completamente innocente, ricever? il gentile appellativo di re Bombino) L'anno
dopo re Vittorio Emanuele di Savoia inaugurerà il regno bombardando non dei
ribelli, ma i patrioti della seconda città del regno, Genova, che non
accettavano l'armistizio concluso con l'Austria. A lui non fu attribuito
l'appellativo di re Bombone, che gli spetta a pieno titolo, ma quello di... re
Galantuomo. Nel 1848 Giacinto de' Sivo, dopo essere stato componente della
Commissione per l'istruzione pubblica, fu nominato Consigliere d'Intendenza
della provincia di Terra di Lavoro, con settecento uomini ai propri ordini, e
dal gennaio al maggio 1849, fu comandante di una delle quattro compagnie della
Guardia Nazionale. Scrive un'opera sulla rivoluzione del 1848-49, ma, "per
non parer di percuotere i vinti e inneggiare ai vincitori", non la
pubblica e ripone il manoscritto in un nascondiglio della sua villa di
Maddaloni Quando, oltre un decennio pi? tardi, pubblica la Storia, interviene,
poi sui burrascosi rapporti tra Napoli e Londra.
"la ricchezza dell'Inghilterra sta nella miseria altrui: perciò suscitano
guerre e tradimenti dappertutto. La pace sul continente è fuoco per la Gran
Bretagna: perciò deve trafficare in rivolte come in cotone e piatti". Che
cosa pensano di fare, allora, gli inglesi Stabiliscono un congresso annuale
della Pace, con sede in quella Londra che dava asilo a tutti gli agitatori
dell'orbe, con la partecipazione di Palmerston, un massone, che frattanto
armava alacremente un esercito di 400 mila uomini in preparazione della guerra di
Crimea. Lord Palmerston, come nel 1847 aveva mandato il Mintho a rivoltare
l'Italia, così nel 1850 mand? a Napoli un altro emissario, il baronetto
Gladstone (le fortune della cui famiglia erano state fonda?te sul commercio
degli schiavi). Gladstone, in due famose lettere al conte Aberdeen sui processi
di Stato a Napoli in seguito ai fatti del 1848, parla di "violazione
incessante, sistematica, premeditata delle leggi umane e divine", e indica
il governo borbonico come "negazione di Dio eretta a sistema di governo".
I detenuti in tutto il Regno erano 2.024. Nel 1863, a due anni dalla
liberazione, nelle carceri della sola Napoli c'erano fino a 20 mila persone! E
ancora nel 1865 sul giornale L'arca di Noè, pubblicato a Napoli, fieramente
antiborbonico, com?parve un articolo, terribilmente serio, sulle durissime
carceri italia-ne-piemontesi, che si concludeva così: "Lord Gladstone, fa'
un secondo viaggio, vieni un'altra volta (...) Il passato è assai più
accettabile, rispettabile ed adorabile del presente". Sempre nelle sue
lettere, Lord Gladstone critica le condizioni igie-niche di Napoli. Gli
risponde de' Sivo: "II Gladstone che aveva sotto gli occhi il milione e
mezzo di mendicanti [su 17 milioni di abitanti], le luride case degli artigiani
di Liverpool e Birmingham, e le cave di Manchester osava parlare del lezzo
della Vicaria Asserì che il Settembrini era stato straziato atrocemente, quando
il Settembrini stesso nella sua difesa, stampata di nascosto, dichiarò di
essere stato ben trattato*.". L'Inglese, tiranno in Irlanda, dove migliaia
di persone in quegli stessi anni morivano letteralmente di fame e cinque
milioni di abitanti furono costretti ad emi?grare in America, che opprimeva
l'India, che nel 1840-42 aveva costretto la Cina alla guerra dell'oppio per l'illegale
commercio dell'oppio praticato dalla Gran Bretagna, che nel 1882 bombarderà
Alessandria d'Egitto, che nel 1899-1902, in Africa del Sud, s'impadronì dei
territori boeri con metodi brutali, "operatore in tutto il mondo di
incendi, fucilazioni e torture vere, accusava falsamente Napoli di
torture". Nei processi di Napoli neppure uno degli imputati fu condannato
a morte, mentre nell'isola di Cefalonia, occupata dagli Inglesi, "per le
sommosse del 1848, figlie di quelle suscitate dall'Inghilterra in Italia,
veni?vano condannate a morte 25 persone".Nell'ottobre del 1856 furono
richiamati da Napoli gli ambasciatori inglese e francese, perchè re Ferdinando
aveva respinto i loro consigli, cioè le loro ingerenze. I rivoluzionari, che
gridavano sempre indipendenza, continuarono a maledire un re che aveva
dimostrato di voler essere indipendente. Ferdinando II aveva messo tutto l'anno
allo Stato; riuscì ad eliminare il disavanzo dei conti dello Stato, a diminuire
le imposte, ad assicurare pace e prosperità ai Napoletani, eppure fu ed è
maledetto dai rivoluzionari. Perchè? "Perchè i settari niente maledicono
di più quanto il buon governo".Si scatenò su Napoli un uragano di calunnie
mostruose; parlarono di supplizi occulti, di sevizie, di atrocissimi strumenti
di tortura: la cuffia del silenzio, la sedia angelica, il trapano ardente,
naturalmente mai esistiti se non nella fantasia dei nemici di Napoli. è la
lezione di Voltaire: "Calunniate, calunniate: qualcosa resterà". è
restato più che qualcosa, se ancora oggi spesso si sente qualcuno, magari
napoletano, definire "borbonico" qualsiasi comportamento incivile e
scorretto! Arriva il 1860. Gli avvenimenti incalzano. Il 24 marzo 1860 il
Piemonte cede Nizza e Savoia alla Francia in cambio dell'appoggio da questa
fornito nella guerra contro l'Austria per conquistare la Lombardia. "I
liberali - scrive de' Sivo - avevano sempre strombazzato che i popoli non sono
mercè; e quello stesso Cavour il 7 febbraio 1859 in senato aveva detto che ? un
grande progresso della civiltà moderna il non riconoscere ne' prìncipi il
diritto di alienare i popoli (...) ed ecco Vittorio Emanuele liberalesco,
firmanti il Cavour e il Farini liberaloni, far pubblico contratto di popoli:
Dio aveva posto le Alpi a difesa del bel paese, il Piemonte le cede alla
Francia. Volevano Italia una e forte, e la sbrindellarono e l'aprirono allo
straniero". Volevano fare Italia una, e lasciarono alla Francia
l'italianissima Corsica, rinunciarono ai possedimenti veneti della Dalmazia,
lasciarono all'Inghilterra l'isola di Malta: per fare 1'"Italia una"
prepararono una guerra d'aggressione a uno Stato italiano indipendente: il
Regno delle Due Sicilie. Dissero che il popolo, oppresso dalla tirannide
borbonica, voleva essere liberato. Certo, c'erano gli scontenti sotto i
Borboni. "I pochi malvagi strepitavano, e parevano molti. Erano ambiziosi,
sfaccendati, curiali che nell'autorità trovavano argini ai cavilli, erano
architetti stanchi del rubar poco, dissoluti avversati nelle libidini, mercanti
impediti dai monopoli dei grani, studenti che avevano lasciato Virgilio per il
Guerrazzi". Si organizzò alla luce del sole la spedizione di Garibaldi,
che andò da "porto in sicuro mare, sonetto da mezza Italia, da Francia e
Inghilterra, con oro massonico (tre milioni in piastre d'oro turche,
equivalenti a centinaia di milioni di dollari attuali, che sarebbero servite a
catalizzare le fulminee conversioni alla rivoluzione dei molti traditori), con
la già comprata flotta avversaria e i preparati tradimenti militari". Giacinto
de' Sivo deve lasciare le sue tragedie storiche (l'ultima è Belisario, proprio
del 1860). Una tragedia storica di proporzioni e conseguenze crudelissime si
svolge sotto i suoi occhi, lo travolge: la fine di un Regno che vanta otto
secoli di esistenza, la fine dell'indipendenza della Patria napoletana. Nell'intraprendere
la narrazione delle vicende che portarono alla caduta del Regno delle Due
Sicilie, de' Sivo confessa: II cuore sanguina, la mente si prostra, e l'animo
angosciato quasi quasi rilutta contro la volontà del Signore, che tanta
ignominia e infelicità permise che insozzasse la già lieta patria
nostra"'. Segue, per quasi cinquecento pagine, un lungo elenco di
vergognosi tradimenti, incomprensibili indecisioni, scelte funeste, eroismi
dimenticati, anzi ignorati, paesi grandi e piccoli messi a ferro e a fuoco per
essere rimasti fedeli al loro Re. "Si voleva usurpare la monarchia, e s'è
percossa la nazione; si voleva abbattere un re, e si sono spenti 100 mila
sudditi". Il 6 settembre Francesco II lascia Napoli, "perchè non le
fosse arrecato danno... " II 14 dello stesso mese una brigata garibaldina
entra in Maddaloni. De' Sivo si rifiuta di andare a Napoli a rendere omaggio a
Garibaldi e viene destituito dalla carica di Consigliere. La sera del 14, dopo
che la sua villa è stata circondata da centinaia di uomini armati, viene
condotto a Napoli con apposito convoglio ferroviario. Mentre il pericoloso
letterato è tenuto prigioniero a Napoli, la sua casa è occupata per tre mesi da
Bixio, poi da Avezzana, infine da Carbonella Rovistano dappertutto, i
liberatori, tanto che trovano il manoscritto sul 1848-49, e gli lasciano la
villa "guasta e vuota di roba". Viene scarcerato, ma il 1° gennaio
1861 è imprigionato di nuovo: il pericoloso scrittore viene portato via di casa
di notte, senza nessun motivo, e rinchiuso per due mesi. Scarcerato di nuovo,
vuole sperimentare "la vantata libertà della parola" e pubblica La
Tragicommedia, giornale soppresso al terzo numero. Gli fanno capire che gli
conviene andar via da Napoli, se non vuole finire dentro per la terza volta. E
così, nella notte fra il 14 e il 15 settembre 1861, s'imbarca sul bastimento
Quirinale e si rifugia a Roma. Si lascia alle spalle una Patria conquistata
che, nel solo 1861, ha visto ben 15.665 suoi figli fucilati dai fraterni
liberatori piemontesi. Una Patria dove i gigli, simbolo della giustizia e della
sovranità, vengono scalpellati via da tutti i monumenti; dove dilaga la caccia
ai borbonici. La camorra e la mafia si erano alleate col nuovo potere contro quello
legittimo. "Il passato è quello che avverrà": di nuovo la mafia si
schiererà col nemico, per facilitare la conquista della Sicilia e oggi la
camorra spadroneggia nel Sud. Eppure si dice: "retaggio borbonico".

In quello stesso 1861 de' Sivo pubblica L'Italia e il suo dramma politico
nel 1861 e I Napolitani al cospetto delle nazioni civili. Incaricato dal capo
del governo borbonico in esilio, marchese Pietro Ulloa, di scrivere un libro
sulla Storia delle Due Sicilie, nell'estate del 1862, ad Albano, ne legge
alcuni capitoli al re, il quale "ascolta con entusiasmo; fornisce
chiarimenti e documenti". Ma uno speciale Consiglio convocato per chiedere
se si dovesse permettere la pubblicazione di una storia contemporanea del Regno
delle Due Sicilie, da al sovrano parere sfavorevole, temendo la violenza delle
dottrine dell'autore. Lo stesso Ulloa non mette a disposizione di de' Sivo la
documentazione che gli aveva promesso, tanto che lo storico di Maddaloni, in
una lettera a Cesare Cantù, scriverà: "ho stimato troncare con lui le
relazioni di amicizia". Ciò nonostante de' Sivo continua il duro lavoro.
Nel 1863 esce il primo volume, l'anno dopo il secondo. L'opera procura gioia
agli onesti, ma provoca proteste violente da parte dei responsabili di dubbi e
doppiezze. Il re gli assegna la croce costantiniana ma, delle 400 copie che
aveva prenotato, ne ritira solo alcune decine.
Il terzo volume della Storia de' Sivo è costretto a stamparlo, nel 1865, a
Verona. Nel 1866 il Veneto è annesso al Regno d'Italia: il tipografo ha paura
di pubblicargli gli ultimi due volumi e non gli restituisce nemmeno il
manoscritto! De' Sivo è costretto a riscriverli dai suoi appunti: una fatica a
cui accenna nella prefazione al quarto volume, uscito col quinto nel 1867:
"se dovessi raccontare la storia di questa Storia!..". Muore il 19
novembre 1867, nelle tarde ore della sera. Fu sepolto nel cimitero del Verano.
Sulla sua lapide queste semplici parole: "Salute, o Giacinto, vivi in
Dio". Nel maggio del 1960 le sue spoglie sono state traslate nella natia
Maddaloni. I napoletani non immemori ne trasmettono l'insegnamento e il
messaggio.

Biografia a cura di Gabriele Marzocco


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